Maria Teresa Brolis – Andrea Zonca, Testamenti di donne a Bergamo nel medioevo. Pergamene dall’archivio della Misericordia Maggiore (secoli XIII-XIV), Bergamo, Editrice «Pliniana», 2012, 275 p.
L’interesse della storiografia per gli atti di ultima volontà vede oggi un momento di grande rilancio. Frutto locale di questa tendenza è il volume di Maria Teresa Brolis e Andrea Zonca, recentemente pubblicato grazie al finanziamento della Fondazione MIA.
Il volume propone l’edizione commentata di quarantasette testamenti e un codicilllo dettati da quarantacinque donne bergamasche (di cui due sostituiscono il primo con un secondo testamento) tra il 1253 e il 1399. Il corpus deriva da una ricognizione nel ricchissimo fondo pergamenaceo dell’Archivio della Misericordia Maggiore di Bergamo, depositato presso la Civica Biblioteca Angelo Mai.
L’attenzione degli studiosi per i testamenti ha visto fasi diverse. Gli anni settanta del secolo scorso hanno rappresentato senza dubbio un’epoca di grande fervore in questo ambito di ricerca, su impulso soprattutto della storiografia francese. Gli studiosi d’oltralpe avevano tuttavia un approccio ben diverso da quello italiano, privilegiando un’analisi di tipo quantitativo, che faceva della serialità dei testamenti lo strumento per un’indagine del sentimento collettivo della morte.
Nel corso degli anni successivi è fiorita anche in Italia una nuova stagione di studi, dapprima con il convegno Nolens intestatus decedere (1983), fino a quello più recente, Margini di libertà. Testamenti femminili nel Medioevo, tenutosi a Verona nel 2008 e che ha costituito un importante momento di confronto e riflessione sull’utilizzo dei testamenti come fonte storiografica.
Con questo lavoro sui testamenti femminili bergamaschi, gli autori intendono porsi sulla linea di tali ricerche, recuperando e portando a maturazione molti degli interessi da loro coltivati in passato. Zonca mette nuovamente a frutto la sua perizia di diplomatista; Brolis da una parte riprende uno dei temi centrali della sua attività di studio, quello delle donne, dall’altra si rivolge più direttamente ad una tematica trasversale come quella dei testamenti, da lei già incontrati numerose volte, in particolare nel corso delle sue ricerche sugli ospedali bergamaschi.
Gli autori del resto si erano già cimentati di recente in un lavoro analogo a quello qui presentato, in un contributo sugli Atti di ultima volontà a Bergamo nella seconda metà del XII secolo (2010). Questo studio, che presentava edizione e commento di quattordici testamenti bergamaschi (maschili, questa volta), rappresentava una scelta in qualche modo in controtendenza, dal momento che privilegiava un periodo in cui il testamento era una tipologia documentaria ancora non ben definita e quindi meno diffusa. Lo studio offriva perciò una panoramica sull’importante fase di gestazione che avrebbe portato l’atto di ultima volontà ad essere uno strumento diffusissimo nei secoli successivi.
Testamenti di donne non è un nuovo contributo al filone dei gender studies. Piuttosto, come sottolinea nella prefazione Attilio Bartoli Langeli, all’origine del lavoro sta la «vocazione a conoscere» la donna nel Medioevo, considerata qui nella sua individualità e nei suoi aspetti peculiari.
Una fonte come il testamento si presta, per la sua ricchezza, ad essere letta da molteplici punti di vista, e ad illuminare aspetti plurimi della religiosità, della società e delle istituzioni del tempo; tali prospettive concorrono assieme a disegnare dell’attore principale del documento, la donna, un ritratto più pieno e più vivo. Così di queste figure, di regola ai margini di una documentazione tutta declinata al maschile e quindi, apparentemente, anche della vita del tempo, questo volume cerca di mostrare i contorni reali; nel commento ad introduzione dell’edizione, la Brolis si interroga sullo stato civile, sulla condizione sociale e sull’entità del patrimonio delle testatrici, e riflette sull’importante questione della loro fisionomia giuridica. Di quale autonomia e libertà d’azione godevano queste donne? La risposta che i testamenti della MIA offrono a questa domanda può essere per certi versi sorprendente: se queste testatrici non agivano in completa e perfetta autonomia, esse godevano tuttavia di cospicui «margini di libertà». I testamenti duecenteschi non restituiscono mai la presenza di mundoaldi, ossia di coloro che esercitavano la tutela (mundio) sulle donne; esse agiscono invece da sole (o al limite, se sposate, con il consenso del marito). E quando, all’alba del Trecento, compare la figura del giudice garante, questi sembra assolvere una funzione di difesa della libertà femminile più che di un suo impedimento. Le vite raccontate da questi testamenti mostrano poi donne impegnate attivamente nell’amministrazione e nell’incremento del proprio patrimonio, in attività commerciali e addirittura nella committenza artistica. Altri elementi utili alla caratterizzazione delle donne dei secoli XIII e XIV sono poi tutti quelli che illuminano da una parte sulla loro cultura materiale, dall’altra sulla loro mentalità, due aspetti legati in realtà più strettamente di quanto possa sembrare. Gli oggetti più concreti della vita quotidiana (i letti, le pentole, i vestiti e tutto quanto le testatrici lasciano in eredità), non sono infatti mere cose: essi sono infatti investiti dall’affettività di chi li possiede, e acquistano in tal modo una pregnanza e un valore che superano di gran lunga la loro materialità. Così, dal modo in cui questi oggetti sono descritti e trattati, si colgono i tratti dell’immaginario e del sistema di valori di chi li possiede.
Tutta questa molteplicità di aspetti emerge innanzitutto dalla viva voce delle protagoniste, che il volume ha il pregio di far ascoltare direttamente attraverso l’edizione dei testi; ma è anche lo sforzo interpretativo degli autori a portare alla luce quegli stessi aspetti, che resterebbero altrimenti impliciti o nascosti. Tale sforzo si esplica innanzitutto nel commento a cura di Maria Teresa Brolis, a cui si è già accennato. Andrà qui ricordato che l’autrice – pur distante, come metodo, dal modello francese – non disdegna di parlare di numeri quando questi siano particolarmente significativi. Così è ad esempio quando commenta la percentuale di nubili tra le testatrici: sei su quarantacinque, un valore rilevante, anche in considerazione del fatto che non si tratta di ecclesiastiche, ma di laiche. Un ulteriore aiuto alla riflessione sui documenti è fornito pure dalle due tabelle che chiudono l’introduzione.
Lo stesso impegno nella valorizzazione dei testamenti emerge poi anche dalla forma originale della loro edizione. Innanzitutto, i documenti non sono preceduti da un regesto che ne sintetizzi il contenuto ma, dopo il numero d’ordine e la data, dall’indicazione del nome della testatrice; ciò che importa all’editore infatti è soprattutto l’attore principale del documento. Inoltre, il testo è suddiviso in paragrafi con unità di senso, segnalati a margine da un titolo che ne indica sinteticamente il contenuto. Titoli e paragrafi intendono mostrare la scansione delle parti fisse e delle clausole di cui il testamento si compone. Quest’impostazione manifesta innanzitutto un’attenzione al documento anche in quegli aspetti formali che ne sono parte essenziale e che, se considerati, permettono di comprendere il documento stesso in modo più completo. Inoltre, i punti più significativi dell’atto emergono in questo modo con una maggiore evidenza, facendo guadagnare all’edizione in chiarezza e accessibilità.
Un ulteriore aiuto alla lettura dei testi è data infine dal ricchissimo indice finale, a cura di Attilio Bartoli Langeli. Impostato sull’indicizzazione di tutte le voci nominali (vale a dire sulla registrazione a sé delle varie parti di cui si compone il nome di una persona: nome, patronimico, forma cognominale eccetera), questo strumento permette di poter sfruttare appieno la messe di dati racchiusa nei testamenti, ed è già una modalità di ordinamento della materia.
Il volume, pubblicato grazie al finanziamento della Fondazione MIA, non può essere acquistato attraverso i normali circuiti librari, ma deve essere richiesto alla Fondazione stessa.
Lucia Dell’Asta